Olivina gemeva tutta 3a p. (fugace incontro)

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  1. Lonely_Sniper
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    Alle otto di sera Ranuccio ci lasciò per la piazza ed i suoi squallidi ludi. Io entro domenica avrei dovuto “vincere ai dadi mia sorella” debitamente travestito. Una situazione tragica e comica assieme. Travestirmi non fu una cosa facile. Venerdì sera c’era in paese una compagnia di musici ed attori avvezzi a presentar commedia alla sera. Alla fine dell’ultimo atto andai da un attore che notai in scena recitar in guisa di allegra donnina, era però maschio, tale Marsilio da Cremona; fattane rapidamente la personale conoscenza dissi lui che abbisognavo di una parrucca lunga, per diletto, e se li aveva dei dadi “magici”. Per tre ducati ebbi ambo le cose; ma dovetti pagargli anche una robusta cena in taverna con abbondanti dosi di vino salentino. Vidi Marsilio innamorato, e non a torto, del vino delle nostre parti. Evitai di dire al nuovo amico come aveva ridotto mio cognato quel dannato buon vino. Mi portai i paramenti posticci a casa in un sacco e sabato pomeriggio presi congedo dai parenti, da Ranuccio quasi sobrio, e da Olivina. Mi recai poscia nella locanda indicatami per complicità da Olivina, e colà presi alloggio fino al lunedì successivo. L’oste mi indicò la camera, ed a questi dissi che l’indomani avrei incontrato una donna di mio gradimento nella camera. Mi chiese un supplemento, ma ebbi garanzia che non sarei stato punto ostacolato quando codesta donna sarebbe giunta per farmi visita. Aggiunsi un piccolo supplemento al supplemento perché non chiedesse e dimenticasse la donna della visita. Era pomeriggio e mi preparai per la scena. Un bel vestito azzurro con ricami, regalo della mia intraprendente madre, che non avevo mai usato, un grande bianco collare di seta ed alfine la parrucca che Marsilio mi aveva insegnato ad indossare e a tenere. Su consiglio di Marsilio, che mi aveva insegnato in una serata a truccarmi e a travestirmi, mi misi una benda nera all’occhio sinistro. E completai la cosa con un ampio cappello piumato che doveva tenere in ombra il resto del mio volto. Provai anche i dadi e mi accorsi ch’erano schifosamente truccati, visto che in tre lanci su cinque davano il numero richiesto. Lanciai molte volte ed ormai avevo un’idea dei numeri che uscivano più spesso … ero pronto a spennare mio cognato. All’ora ottava mi recai nella taverna alla piazza e presi un tavolo ordinando del vino. Poi avendo riconosciuto uno dei balordi amici di Ranuccio chiesi a quest’uomo, col quale non lascerei mia sorella nemmeno per un minuto, se gradiva fare meco una partita con le carte da gioco. Lo conobbi come mediocre giocatore di carte, e finsi una certa noia recitando la parte del nobile sdegnato dal plebeo; da parte sua questi era
    Adv
    persona troppo diminuita di suo, per cui non mi fece problemi quando gli chiesi chi fosse il biondino, (come se non lo sapessi). Mi disse ciò che volevo, e chiesi a lui che chiamasse quel tale Ranuccio al mio tavolo, sperando dissi al plebeo da nobile spagnuolo quale ero, che fosse un giocatore più valente... io poi ebbi a turlupinare il plebeo dicedogli che godevo a perdere denaro … con cotanta mia modernità lo convinsi, ed alla fine questi chiamò Ranuccio. Questi si presentò ed incredibilemente non mi stava riconoscendo punto. Chiesi per una partita a dadi impegnando il denaro che avevo poc’anzi vinto al balordo. Al tempo stesso dissi a Ranuccio nel mio spagnolaccio se lui ed il suo amico avessero gradito bere. Dissero di sì, ed io stesso incoraggiai il suo amico a bere molto perché cadesse dal sonno. Fargli vincere le prime mani per dargli fiducia non fu difficile; tuttavia dopo mezz’ora il suo amico dormiva seduto tra i vapori del vino dell’oste che lo guardava con disprezzo; calmai io lo sguardo all’oste mostrando moneta che non era nel tavolo da gioco; l’oste prese il danaro e si allontanò: io ero faccia a faccia con il mio ignaro cognato. Adesso iniziavo a fargli perdere un lancio su tre, poi due su tre; certo, per non insospettirlo, perdevo un po’ anch’io; quando rimase senza soldi cominciai a fargli credito io stesso facendogli vincere ancora un lancio per tenerlo a giocare. Poi cominciò a puntare forte per recuperare ed io a vincere spudoratamente su quell’ingenuo di mio cognato che, mezzo brillo, mi credeva un nobile spagnuolo per via del vestire, del profumo, e della voce che facevo io stesso rauca. Quando era sotto di cinquanta ducati tirai la stoccata:

    “…hombre ! Usted…voi siete troppo in debito…no me gusta màs tirar los cubos cum usted seňor Ranuccio. No se puede mas…”’
    “Siete uomo di buona sorte voi … altezza… credo … siate un’altezza…vero?!”

    Era cotto e apatico per cui passai all’italiano:

    “Posso chiedere come intendete pagarmi Ranuccio ?”
    “Vi pagherò non dubitate! Ho sempre pagato Messere,…chiedete a tutti…son conosciuto!”
    “…da questo vostro amico morto di sonno? Una bella garanzia ! Non c’è che dire!”
    “…io sono il figlio del notaio del paese, Giuseppe Maria Tresoldini… sanno chi siamo qui!”
    “Quando?”
    “Per domani li avrò… senz’altro marchese…”
    “Non posso attendere. Di voi mi sono fidato. Oggi!”
    “Non ho un denaro veruno messere! Frugate le povere tasche mie. Tanta avversa a me fu la vostra buona sorte!” - Aspettai in silenzio, sprezzante, poi mi rilassai dicendo:
    “Vi darò il tempo Ranuccio… nosotros y toda la Espana somos cisneros,… ma…En nombre de Dìos… ditemi dove vivete. Avrò pur derrecho a conseguir usted…prego ! Portatemi a casa vostra… per saper dove trovarvi…”
    “Ma…”
    “Volete che chieda agli armigeri?!…il capitano di giustizia mi ascolterà senz’altro…la nobiltà dei Catarros y Gnocas de Putavera ha la sua importancia…la mia famiglia est muy… conosciuta a corte!”
    “…no!...per carità di Dio mio signore! Vi sono debitore, e vi porterò a casa mia se volete,…è per la notte?”
    “No ! Devo conoscer di persona chi garantirà per voi. Chi meglio di un familiare ?”
    “Avete ragione messere. Seguitemi!”

    Divertentissimo, una parte di me voleva ridere, ma mi sarei sbugiardato: mio cognato continuava a non riconoscermi, e mogio come un cane bastonato, mi portò in casa sua. Lui spiegò la situazione ad Olivina, e questa finse di assumersi il debito dello sciagurato ingenuo marito. Mia sorella che mi fu appena presentata mi riconobbe nonostante il travestimento, e dopo aver finto la presentazione mi fece la riverenza. Ranuccio preferì andare a dormire; Olivina temendo che ci ascoltasse mi disse:

    “…mio nobile signore! Ora posso darvi solo otto ducati… vi prego di accettarli quale acconto…se pazienterete fino a domani avrete anche gli altri...”
    “Si tratta di aspettare se ho ben capito, madame…”

    Olivina era nel giusto. Ranuccio ci stava ascoltando sulla porta. Era il caso che me ne andassi. Feci per farlo.

    “Mio nobile signore, gradite la nostra umile magione per la notte? “
    “No Madame, vi ringrazio, ma ho già pagato una locanda qui in paese verso la porta !”
    “In tal caso io e Ranuccio vi auguriamo che la notte vi sia piacevole ed il sonno propizio! …a domani mio nobile signore!”
    “A domani Madame!”

    Io andai via, e lasciai ad Olivina il compito di convincere l’ignaro marito che anche questo debito l’avrebbe pagato lei, alla solita maniera… Ranuccio da parte sua accettava ormai la situazione troppo supino. Comunque non aveva niente in contrario a scontare il debito in cotal guisa. Sua moglie Olivina mi sarebbe venuta a trovare domattina da sola per fare del peccaminoso sesso in paese con suo fratello alle spalle di Ranuccio, comodo cornuto, e delle leggi di sua Maestà Carlo V… prima di andare a dormire chiesi all’oste della locanda una tinozza d’acqua, ed un po’ di petali di rose onde lavarmi. L’indomani mattina sarebbe venuta Olivina e volevo farle trovare un corpo pulito e profumato, soprattutto in basso. Mi avvolsi nelle lenzuola dopo essermi asciugato alla meglio e cercai di dormire senza troppo successo pregustando il corpo di Olivina dopo un’astinenza di quattro anni… dormii alfine e teso com’ero non sognai. Alle nove il sole vigoroso del mattino mi diede la sveglia. Aprii gli occhi e svegliatomi del tutto vuotai la vescica poi scesi dabbasso a vuotar il pitale. Feci colazione con pane e latte, e siccome per l’oste ero un ospite di riguardo mi vennero favoriti dei gustosi pasticcini alle mandorle. Alle dieci tornai in camera. Non indossavo la parrucca; con l’oste non era necessario. Aspettavo quella famosa visita. Olivina non mi disse a che ora sarebbe giunta, finché alle undici circa secondo la clessidra dell’oste, mi mandò una sua amica che, non trovandomi dabbasso, lasciò detto all’oste di pranzare da solo, che Olivina sarebbe arrivata per la seconda ora dalla mezza. Non potevo sbagliarmi dato che la mezza sarebbe stata scandita a suon di campane dalla chiesa Madre. Non mi aggradava di desinar fuori ch’essendo domenica ci si asteneva dal lavoro nelle taverne, per cui chiesi all’oste prima che andasse alla santa messa di farmi portare in camera del cibo con del vino. Pagai ed ebbi quanto richiesto. Poi mi stesi sul letto a mangiar di gusto il prosciutto, il pane ed il pomodoro che mi erano stati serviti. Restava solo da attendere la mia amata Olivina. Il vino dell’oste mi fece assopire e dopo mangiato dormii.

    “Toc, toc…”
    “Uh ?!... Chi è ?”- Mi svegliai di scatto. Una voce impersonale, quella del mio oste, mi disse:
    “C’è la donna che attendevate mio nobile signore! Attende dabbasso … la faccio salire o scendete voi ?”
    “Fatela salire! Poi a vostra volta defilatevi ! Vorremmo essere lasciati soli …”
    “Nessun problema mio nobile signore! Avete pagato bene. Non vi lagnerete!”

    Olivina salì in camera mia. Quando entrò le feci cenno di chiudere la porta dietro. Indossava un vestito rosso scuro; un velo a coprire il viso ed i capelli. Per quanto potevo saperne non era riconoscibile. Le sollevai il velo per baciarla, e lei rigida tenne le labbra chiuse senza però ostacolarmi punto. Provai a guardar fuori la porta per veder se eravamo spiati; nessuno. L’oste era stato di parola.

    “Dunque Olivina, siamo soli alfine …”
    “Eravate così impaziente Toraldo …?”
    “Sono quattro anni Olivina che aspettavo tal momento … Ranuccio come l’ha presa ?”
    “Non chiedetemelo Toraldo, accetta la situazione ! Tutto qui! Si vergogna un po’, ma poi ricomincia a giocare… e un po‘ mi vergogno anch‘io; per questo vi avevo chiesto di non chiedermelo!”
    “Siete qui giunta sola?”
    “… no accompagnata da mamma Lucia che ora sta badando al piccolo Aymone… fanno visita ad un loro parente … All’ora quinta passerà a prendermi con il carretto il notaio Giuseppe suo marito …, per quell’ora ve ne sarete già andato, intesi fratello ? Il notaio mio suocero, contrariamente a suo figlio, è astemio e non crederebbe al vostro travestimento. Tanto più che ora non indossate punto la parrucca, né la finta barba …”

    Olivina mi raccontò di aver chiesto a Ranuccio di quanto fosse il debito con me finto nobile spagnuolo; poi dopo averlo convinto a non accompagnarla al momento del “saldo” onde evitare che la gente parlasse troppo dietro entrambi, gli disse che mi avrebbe raggiunto presso la mia locanda, e con l’aiuto della banca presso la quale Olivina aveva per tempo depositato piccoli risparmi (pietosa bugia) di cui non aveva voluto dirgli per via del gioco dei dadi, avrebbe provato a tacitare le mie “giuste” richieste. Avevamo turlupinato da bravi complici l’ingenuo Ranuccio, ora ci accingevamo a prenderci beffe delle severe cristianissime leggi di Carlo V imperatore… e della sua Santa Inquisizione che dava la caccia agli eretici, non certo ai diabolici incestuosi… Ero mancato anche ad Olivina in quegli ultimi quattro anni. A letto Ranuccio era nel migliore dei casi un onesto amatore quando non era ubriaco. Olivina ebbe in quei momenti a confessarmi che l’unico vero cazzo duro per la sua fica era il mio. Era felice di potermi finalmente dare la fica ancora giovane, morbida e burrosa. Quello che di più avea disìo era un cazzo grosso duro come era stato il mio; anche quello del messo bancario (anziano) del pignoramento era durato poco. Chissà come aveva fatto a sborrarle sulla coscia vicino la natica. Di pruriti ne ebbe non pochi da sposata. Agli armigeri aveva avuto la possibilità di offrirsi qualora lo avesse voluto. Magari a due contemporaneamente. Ma non voleva. Lei era abituata a vederli come persone rudi e sporche, anche quelli ch’eran di buon sembiante. Mi chiese anche del mio matrimonio. A 26 anni mi sarei dovuto decidere una buona volta. Le dissi, come già avevo detto a suo suocero qualche sera prima a cena, che ero solo fidanzato con una lontana nipote di Don Grico, per niente carina in confronto a lei, per cui, pur non sottostimandola non avevo fretta; prendevo tempo. Ebbi a raccontarle, dato ch’era sempre stata curiosa, del sesso con altre donne, vedove non più giovani che di tanto in tanto insistevano per farsi spiegare da me in persona prestante maschio di 26 anni, presso la magione loro, alcuni balzelli; in realtà mi accorsi presto, specie le vedove più facoltose, volevano solo un giovane palo da cavalcare, dopo aver usato il braccio mio per accompagnarsi in chiesa la domenica. Lo avevo confessato pure al mio ormai anziano precettore Don Grico, ch’ebbe a dirmi in confidenza che anche lui avea trovato a consolarne qualcuna. Lì cambiai discorso per non imbarazzarci reciprocamente- ricordate?!-... la volta in cui lo vidi con nostra madre?... Venivo cercato, ma eran vecchie, oltre i quaranta,… Da quando ero uno degli intendenti del Barone se volevo potevo avere anche le donne di coloro che tasse e balzelli cercavano di non pagare… stufo della solita vita chiesi al mio Barone una breve licenza, onde andar a trovare mia sorella sposa di 22 anni, e il di lei bimbo, mio nipotino. Il Barone me la concesse a patto che non fossero più di giorni cinque e prima di semestre non avrei potuto ottenerne un’altra.. Ciò che né io né il mio Barone sapevamo era che avrei dedicato l’ultimo ad Olivina, in toto. Per Olivina però era importante che il fugace incontro durasse poco: quello era l’unico sistema per non rimanere vittima, neppure incidentalmente, delle male lingue, che nel nostro caso non sarebbero state troppo nel torto. Olivina insistette a chiedermi se avevo predisposto tutto per la mia partenza; meglio la domenica stessa secondo lei, anche se io avevo pagato fino a lunedì mattina. No. Sarei dovuto ripartire per domenica pomeriggio; un’oretta al massimo dopo l’ultimo nostro coito visto che i rumori liberi di due amanti attiravano di solito i curiosi… mi chiese se tenevo il bagaglio pronto; lo avevo fatto comunque; don Grico il metodo me lo aveva insegnato in tutte le cose, anche se ancora oggi non gli perdono quella esecuzione cui mi fece assistere… avendo le cose pronte ed in ordine è più rapido prendere decisioni. Non era un problema mostrare il bagaglio ad Olivina:

    “Allora vi do la mia parola Olivina; del resto il mio bagaglio è già pronto … guardate !”

    Sì il bagaglio era pronto. Lo vide lei stessa guardando nell’armadio della stanza. Prese a spogliarsi. Si tolse il cappello che le copriva il volto, ed aprì risoluta la camicetta bianca. Rimase subito a seno semi nudo. Poi si allentò l’ampia gonna lunga lasciandola cadere in terra. Aveva sotto una lunga camicia di cotone in guisa di mutanda che le arrivava alle caviglie. Allentò anche la bianca cordicella che le tratteneva in vita le ampie mutande e quando se le tolse potei finalmente vederla nuda. Rosea, formosa, con due seni stupendi che le avevo notato da anni. Non era più magra come la ricordavo io. Aveva partorito, e sulle natiche si notava della pelle a buccia d’arancia. Vide che nella mia camera c’era ancora un catino con dell’acqua per rinfrescarsi la faccia, e disse:

    “Toraldo … approfitto dell’acqua per lavarmi un po’ la passerina, che nel pensare a voi mentre mi recavo qui ho avuto qualche umidità che mi scendeva … e poi voi la gradirete fresca immagino!...”
    “… prego … fate pure sorella!”
    “Finché son qui non appellatemi sorella … potrebbero sentirci …”
    “Sentirci dite? Vi confesso che la cosa mi accende il disìo ancor di più… confesso che vorrei ci vedesse Don Grico…”
    “Ah il vostro precettore?...”

    Andò verso il catino e si lavò la fica dandomi le spalle. La vedevo gocciolare d’acqua dal suo magnifico culo.

    “Lo sapevate Olivina, che Don Grico di tanto in tanto, invece dei due ducati a bimestre, usava prender per i fianchi e fottere … indovinate a chi ?...”
    “Nostra madre Toraldo !… io lo sapevo, e mai avrei voluto parlar così di lei,… era per pagare la vostra erudizione! Nostro padre non guadagnava abbastanza… mi raccomando che con lui mai vi sfugga ! Forse sa, e fa finta di non sapere, lasciategli vivere tranquillo gli anni che gli restano ! In quelle cose una parola è troppa e due sono poche !...”
    “Una volta li vidi giacere fin dall’arrivo di lei e prima che fossero alla fine…”
    “…Vi eccitaste e vi usaste far di manovella vero?”
    “Sì… ma voi come lo sapete sor…Olivina?”
    “Anche il mio clito s’indurisce, ma il piacere che mi dà tener in mano il vostro membro che s’intosta, … di cui sento pulsare il sangue è qualcosa di divino… io gliele so fare per amorevole istinto mio Toraldo!...e poi qualunque figlio maschio prima o poi si innamora di sua madre… insomma vedeste nuda nostra madre e vi si alzò …”
    “Sì ! Nuda e pronta alla monta…”
    “Foste geloso mio Toraldo? Vero ?”

    Olivina si era voltata sorridendo verso di me, e tenendo larghe le gambe continuava a lavare più per eccitarmi che per necessità, la sua giovane pelosa conchiglietta di piacere. Il sole pomeridiano entrava dalla finestra cui lei dava un po’ le spalle. Nella via da cui si prospettava la finestra nostra eravi della calma pomeridiana e nessun alla finestra propria; tutti a casa per il desinare dopo la santa messa. Chi fosse stato in linea di vista avrebbe potuto veder il suo bel culo. E nel mentre in cui in Martano si pregava o si desinava noi ci si apprestava a caldo fottere… fratello e sorella alle spalle di tutti.

    “Come lo sono di voi adesso! Mio primaveril bocciolo di carne…”
    “Ohhhhh, anche poeta mio Toraldo…”

    Nel frattempo mi ero spogliato anch’io. Quando venne verso il letto vidi il suo pube così vicino come non lo vedevo da anni. Il suo pelo era castano setoso. Potevo anche vedere lo spacco. Il roseo clito tentava di far capolino dalla peluria. Si mise sul letto supina, poi rivolgendosi a me disse:

    “… dovreste stare attento fra … t … Toraldo!...non posso finire incinta di voi … promettete di non godere dentro la vagina …”
    “Mi concedereste un supplemento ?”

    Si voltò per mostrarmi il culo, poi subito dopo tornata supina disse:

    “Voi lì siete già stato gradito pochi anni fa … vi ci lascerò schizzare, non dubitate!”
    “Allora prometto!”
    “Il mio corpo è vostro Toraldo!”
    “Vorrei prendervi quasi fossi vostro marito … venite mai baciata sulle labbra?”
    “Cerca di farlo, ma sa sempre di vino … gliela do senza baci … beve ! Avete bevuto anche voi Toraldo …”
    “Poco Olivina, poco … ma basta parlare di lui …”
    “Avete ragione … oggi e solo oggi voglio esser vostra Toraldo! Servitevi dunque…”

    Mi piazzai sopra il corpo di mia sorella avendo cura che il cazzo incontrasse per struscio la fica di Olivina. La sentivo fresca e umida. Sovrapposi il mio seno maschile contro il suo, ed i nostri capezzoli s’incontrarono per pochi istanti. Presi un forte respiro e dopo aver espirato, cercai le labbra di mia sorella per un completo bacio. Me le favorì, e dopo pochi secondi di esitazione accettò di dischiuderle. La mia lingua le era subito entrata in bocca per cercare la sua. Venne accolta dalla sua calda saliva, ch’era anche un po’ la mia. Rimescolammo più volte, come due sconosciuti benché nei fatti consanguinei. Le nostre due lingue si ben bagnavano di mortal peccato. I nostri sapori di bocca erano nuovi. Sentivo il cazzo diventarmi duro, come la sua fica sempre più calda per la mia cappella quasi fuori a strusciare il pelo, cercandone pure la carne. Lingua a lingua ci demmo la libidine scambiando saliva; presi a baciarle labbra, e con la lingua le guance, ed il collo infilando la lingua dentro le orecchie, ed il naso tra i suoi capelli profumati. Scesi sul collo, salii con la lingua sul mento, poi di nuovo nella sua calda bocca. Questa volta non ci nascondevamo dai nostri genitori. Eravamo soli e liberi. Olivina aveva preso a respirare con veemenza e la mia eccitazione cresceva.

    “ahhhhnn, ahnnnn, ahnnnn…uhmm, glooooooommmm, ahhhnnnn…”
    “Si … come siete bella Oliv … in … aaaaa …. ahnnn, uhmmmnnnn, ahhhh”
    “Scopatemi bene Toraldo mio … ci sapete fare moltissimo, buona sorte capiterà a vostra moglie,…ahnnnn, ahnnnn la invidio fin da o…ooooora!...Ahnnnnnn! …siete sempre stato un gran chiavatore … ahnnnn….”
    “uhhmmm, uhhmm”
    “Lo sento già duro Toraldo, pciu, pciu, ahnnnnnnnm, pciu.. pciù … uhhhmmm”
    Olivina aveva preso a baciarmi eccitata.
    “… uhhhhnnn, uhnnnn,…datemi i seni Olivina …”
    “Sono vostre,… uhhuuu, ahnnn, succhiatele, succhiatele … ahnnnnn”

    Presi a suggerle i capezzoli implacabile. Prima uno e poi l’altro; mollavo il succhio all’improvviso per leccare ed insalivarle il seno, poi ripresi a succhiare fino a sentirli proprio induriti. Succhiavo una tetta e strizzavo l’altra senza alcuna pietà. Quel seno adesso era mio! Olivina godeva del mio amarla affamato di lei e del suo corpo caldo e sodo. Scesi in basso, il ventre caldo e teso; vi passai la lingua avanti e indietro molte volte. Presi allora a leccarle la fica ormai gonfia. Non mi importava del pelo. La mia lingua passava sulla fica sicura di gustare ciò che trovava … era tesa e dura. In tiro, chiesi a Olivina se poteva renderla morbida. Allentò la tensione sulle grandi labbra, e ripresi a leccarle tutte poi risalii fino a clito; ne lambivo con lingua e saliva la base, poi quando si scappucciò per l’eccitazione lo leccai più delicatamente per non darle dolore veruno, un clito scappucciato va solo sfiorato senza sostarvi o la femmina potrebbe averne male…, poi scesi subito senza preavviso all’ingresso della vagina. Le sue carni rosee interne diedero un salato e denso benvenuto alla punta della mia lingua che vi affondai con l’intenzione di sciabolarla bene dentro. Le provocai un intenso mugolare:

    “Siiiii, uhnnn, ahnn, ahnnmmmmmm, ahn, ahn, ahn … sì, sì, lecca, … sì la lecchi bene … lecca … ahnnn!”

    Leccavo la fica padrone. Solleticai lo spacco un paio di volte leccando, introducevo di nuovo ed all’improvviso ripresi a leccarle il clitoride con la lingua leggera, leggera … poi di nuovo sotto dopo una piena lappata alle grandi labbra.

    “Il cazzo Toraldo! Metti il cazzo! … la lecchi divinamente …! Ci vuole il cazzo … dai … ”
    Mi era diventato grosso e duro. La penetrai rapido. Lo scappellai appoggiandolo alle grandi labbra; due strusci ed affondai la mia spada in quelle calde carni ben accolta …
    “Ahhhhhhhhhhhh! … sìiiiiii,… Scopa Toraldo ! Muoviti … dai … ahhhhnnnn!”
    “Sei mia Olivina … sei mia ! Ti piace vero … uhmmm, ahnnn, ahnnnn …”
    “Ci sai fare Toraldo! Scopa!”

    La stavo scopando. Il mio glande sentiva tutta la vagina, calda, burrosa, cedevole, ogni istante più bagnato e caldo del precedente. Il mio cazzo riceveva piacere da tutte le direzioni. Una calda pioggia di piacere lo investiva fin dentro. Una pioggia intermittente, improvvisa, copiosa, e tanto calore. Le mie palle stavano per dare il seme. No, non doveva succedere. Lo avevo promesso. Cercai di allungare il più possibile quella situazione governando la respirazione, ma presto le mie palle avrebbero prevalso sulla mia volontà. Diedi altri sei o sette colpi poi uscii. Il mio cazzone era pieno, caldo, e duro. La cappella violacea dallo sforzo. Lo avvicinai ai seni di Olivina che ne vennero carezzati; erano caldi, e morbidi; poi Olivina prese la decisione di prendermelo in bocca. La prima volta da allora. Sentii la sua lingua esitare sul mio glande, leccarne la punta dopo averla avvolta ed insalivata. La sua bocca andò avanti e indietro fino all’asta dieci o venti volte; poi uscii dalla sua bocca e sentii quanto fosse fredda la carezza dell’aria esterna. Dei baci teneri poi di nuovo in bocca. Seguitò con una serie di ingoi famelica; poi in cerca d’aria cacciò di nuovo fuori il mio cazzo ormai teso e grosso allo spasimo. Mi leccò le palle tenendo avvolta la cappella in mano. Cinque o sei leccate e … dal mio respiro smorzato capì che stavo venendo. Carezzò le mie palle, e leccando la cappella in punta tre volte le diedi finalmente la sborra sulle labbra e sulla lingua. Aprii la bocca per accoglierlo tutto. Era un bella abbondante eiaculazione. Ne bevve quanta ne poté. Poi spippando, e leccando, mi fece cacciare anche l’ultima goccia. La baciai in bocca, poi le chiesi di masturbarsi la fighetta bagnata, e di schizzar nel mio viso il denso nettare biancastro della sua vagina. Allargò le cosce davanti alla mia bocca aperta ed aspettavo con la lingua di fuori. Un lungo massaggio al clito, due colpi di mano alla vulva gonfia di piacere, e ricevetti lo schizzo come desideravo, tiepido, dolce e salato a tratti. Ripresi a baciarla mentre le mie mani completavano l’opera iniziata dalle sue, e rimescolammo i nostri fluidi senza negarci generosi colpi linguali. L’orgasmo lo avevamo avuto entrambi. Solo che io Olivina, mia sorella Olivina la desideravo ancora. Scesi di nuovo sulla sua fica. La leccai, non volevo sentire altro che quel sapore tiepidino, e poggiatevi le labbra e tirata fuori di poco la lingua chiusi gli occhi e rimasi fermo a goderne sapori e odori. Era sudaticcia, tiepida, e nemmeno tanto odorosa avendo appena goduto; ma col calore del dopo orgasmo mi suscitava una sensazione di vita, di inizio vita, di pace. Ero felice. Il mio possesso di Olivina era stato totale. Olivina intuendo mi lasciò la testa premuta dolcemente tra le sue cosce. Così stemmo per una buona mezz’ora. Poi Olivina mi disse:

    “Toraldo ... amore mio ! Togliete il viso … devo farla …”
    “Cosa ?...”
    ”… la pipì … non posso aspettare …”

    Mi tolsi; lasciò il letto e pisciò davanti a me nel vaso. Poi richiamato dal rumore la feci anch’io una volta datele le spalle. Rimisi il vaso sotto il letto. Olivina andò a lavarsi la fica al catino. Il sole si era spostato. Non era più pienamente illuminata come prima. Anche la temperatura dell’aria era più fresca mercé l’ombra di qualche nuvola fugace. L’odore del salice salentino profumava la stanza con un piccolo venticello pomeridiano; Io le chiesi:

    “Olivina,… mi lavi il cazzo ?”

    Il nostro sesso era stato totale. Quel distaccato voi a cui ci avevano educato si era dissolto con i nostri orgasmi. Andai verso di lei fiducioso. Mi prese il cazzo in mano e me lo lavò con la sua mano gentile. Un piacevolissimo intervallo. Poi mi disse:

    “Toraldo, si sta avvicinando l’ora quinta; tra poco passerà mio suocero … te lo prendo in bocca, e mi inculi … poi però devo andare via … prendimi tranquillo. Dietro mi puoi godere tutta … mi scopi bene il buco del culo, insomma fai del tuo meglio…ma soprattutto mi dai il seme perché quello lo voglio comunque,… poi andrai via da Martano e non ti fai vedere per un po’ . Intesi ?
    “Intesi! … vieni tu sul letto ?”
    “No mi ci appoggio solo … m’inculi in piedi … e prendimi i seni quando mi sbatti !”
    “Ti sbatto?”
    “Ti muovi, potrai incularmi comodo stavolta, e potrai muoverti… non è una cosa silenziosa come quella notte prima del fidanzamento…quando ci muovevamo piano al buio in camera nostra sul mio giaciglio…”
    Olivina si diresse verso la sua gonna buttata a terra, si chinò mostrandomi pelo e culo, la qual cosa mi eccitò, e da essa, da una tasca nascosta, estrasse una boccetta di terracotta. Mi disse:
    “… olio, si tratta di Olio, olio di mandorle, è particolarmente adatto per queste cose…”
    “Davvero… chi ve lo ha detto?”
    “…un cerusico di qui,…poco religioso, al quale domandai del dolore del continuo fottere di dietro con mio marito, sai usavo farlo con l’olio di pesce… mi disse che quello si assorbe subito, e non lubrifica… quello di mandorle è meglio,…”
    “… davvero?...”
    “Sì, vedrai… ecco mettilo sul dito indice, e pure sul medio… come faccio io…”

    Imitai il suo movimento. Olivina non era più la mia sorellina innocente; era una donna fatta ed esperta…prese a lubrificarsi il quel buchino che di lì a poco avrebbe sofferto per darmi godimento. Prendeva le gocce di olio dalla boccetta con disinvoltura. Poi mi disse:

    “Allora, se è grosso dammelo, che te lo lubrifico io…poi te lo metto bene sulla cappella. “
    “Me lo metti tu?”
    “Perché no?!...Dammelo, dai! Prima in bocca,…poi l’olio, e mi infili dietro !”

    Si inginocchiò davanti a me e mi prese il pisello in bocca che era ancora moscio; nessun problema al riguardo. La cappella venne subito lambita dalla sua calda lingua avvolgente. Il succhio fu immediato. Le sue manine gentili, manine che solo una sorella può avere, si misero a carezzare i miei coglioni sfiancati dall’orgasmo di mezz’ora prima e rinati dopo un loro lavaggio ad opera sempre di Olivina. Le carezze erano un corredo che rendeva il suo lavoro con la bocca divino. Il tempo di godere di una carezza leggera che la lingua mi fece un giro completo di tutta la cappella. Me lo tirò fuori per scappellarmelo del tutto, poi vi passò la lingua tutto intorno fino ad insistere tra frenulo e prepuzio. Poi riprese a leccarmi. Le palle mi si erano svegliate ed anche il cazzo cominciava ad intostare. La maggiore rigidità fece in modo che Olivina iniziasse un piacevole movimento avanti ed indietro lungo tutta l’asta. Eseguiva il movimento sempre più velocemente. Mi era diventato duro. Olivina prese ad insalivarlo di gusto. Molti altri colpi di lingua quasi da esaltata poi lo tirò fuori e prese la boccetta che vuotò sopra la cappella. Una sapiente e leggera umettata con le dita lubrificò bene la cappella. Continuava a spipparlo un po’ per tenerlo grosso e duro. Poi mi abbandonò e si mise contro il letto in piedi, con la pancia sul materasso. Era alla pecorina. Dovetti spostarmi per poterla possedere dietro prendendole i fianchi. Aveva appoggiato la testa aspettando che mi decidessi ad entrarle dentro. Allargò un poco le gambe per farmi intravedere il rosso ano e lo spacco del culo piacevole a vedersi. Ora toccava a me. Presi in mano la cappella e la guidai a contatto con il culo di mia sorella per saggiarne il gradimento. Poggiai la cappella a contattto con l’ano. Chiesi a Olivina di allargarlo un po’. Mi disse che avrei dovuto farlo io, e poi affondare lo spadone. Misi due dita a V a contatto con il suo ano che provai prudentemente ad allargare. Si allargava senza troppo sforzo, vi infilai un dito e venne accolto. Olivina mi disse di infilare anche l’altro e poi di iniziare a muovermi. Mi ero esaltato; tornai ad allargare l’ano e presi la decisione. Sarei entrato. L’ano era abbastanza largo da sopportare un’invasione col cazzo. Dovetti fare un po’ di pressione poi iniziai ad entrare. Prima la cappella, poi tutto o almeno quasi tutto il cazzo. Le chiesi:

    “… ti ho fatto male ?”
    “Solo un po’… ma ora ficca, ficca, e soprattutto muoviti! L’importante è che ti muovi … dai …”

    Il cazzo ormai era dentro quasi tutto. Non era particolarmente caldo. Tuttavia mi invitava. Tenevo Olivina per le anche; lei continuava a soffrire per darmi il piacere sessuale:

    “Hauuu, ahhhnnnn, ahh…, sì dai sì!...ahnnn, ahnnn, ahhhnnnn… è grosso … lo sento …, ahnnnnn… ehi !... è duro !...ahi,…uhmmmm, ahi … è duro Toraldo… lo sento …”
    “Ahnnn,… ahnnnn, ahnnnn, ahnnnnn … che bel culo che hai Olivina…come è bello sentirlo,… lo sento…ahnnn, sei portentosa Olivina !...ahnnn, ahnnnn, ahnnnn!”

    Continuai a sbatterla come intendeva lei, lentamente con garbo. Provai ad avanzare di più; ero esaltato: ce lo volevo mettere dentro proprio tutto visto che mia sorella Olivina era così invitante. Forzai fino a sentire lo sbattimento delle palle sul suo inguine. Le guardai l’ano riempito dal mio cazzo e slargato dall’intrusione; vidi il motivo del formicolio caldo che avevo sentito sulla cappella mentre era avvolta e stretta piacevolmente dentro; più caldo delle pareti del culo che potevo sentire grazie al fatto che lo avevo duro. Era un rivoletto di sangue che uscendo dall’ano mi doveva aver macchiato già tutto il pisello dentro. Continuai pensando che se Olivina aveva sopportato fino a quel momento così doloroso, potevo proseguire. Le afferrai i seni come mi aveva chiesto: stringendoli impietosamente. Strizzavo anche i capezzoli in via di indurimento. E con la salda presa continuavo a spingere, spingere, spingere. Pensai anche di ruotarlo il mio batacchio. Ero il padrone del retto di mia sorella. Infoiato giustiziere dalla spada implacabile. Ero il conquistatore valoroso del suo corpo a me sottomesso del tutto, con l’aiuto del letto che offriva un comodo appoggio al suo morbido e burroso bacino impedendole di staccarsi da me. Un’occasione veramente unica. Le offrii un po’ di tenerezza baciandole il collo e la schiena sfiorandola di lingua, ed ottenendo dalla mia Olivina dei mugolii acuti di piacere. Smisi all’improvviso di baciarla di spalle e dopo averle stretto i seni ancora una volta forte, ripresi la mia sorellina prigioniera per i fianchi e ricominciai a sussultare col cazzo dentro. Esaltato le afferrai i capelli; Olivina non gradiva, ma tollerava; mi disse:

    “Lascia stare i capelli Toraldo! Guarda il culo! Hai visto che bel panaro tua sorella ?!… concentrati sul culo… ahi, dai, dai,… ahi, ahi, ahi,…ahi…godi Toraldo godi… fammi il culo, maschio !... dai… dai…”

    Non riuscivo a venire e sentivo anche un certo bruciore io stesso. Olivina sudava per la faticaccia. Poi mi chiese:

    “Esci Toraldo… devo respirare un po’ senza dolore… esci ti prego… mi squassi dopo…promesso! Esci.”

    Tolsi il mio cazzone duro e rosso del sangue del retto allargato e roseo violaceo di Olivina… il suo ano dopo pochi istanti si richiuse. Olivina si voltò e mi offrì la fica sudata davanti agli occhi. Il pelo era bagnato e scombinato; la passerina aveva preso ad asciugarsi contro le coperte; forse avrebbe puzzato, forse no. Olivina intuì da brava femmina le mie voglie belluine. Mi disse:

    “Tieni leccala ! Le palle tue sapranno quando sarà il momento…leccala e dammi un po’ di piacere…”

    Feci del mio meglio per leccarle tutta la vulva che potevo raggiungere con gli occhi e con la lingua. Non avrei smesso finché non avessi sentito godere un po’ Olivina. L’odore di fica sudata non invitava molto; il sapore per chissà quale buona sorte tutt’altro… me ne riempii la lingua della sua stupenda fica umidiccia. Dolce nella punta della lingua, amara e salata ingoiando i suoi umori di femmina arrapata una volta misti alla mia saliva. Olivina godeva un mondo e riposava un po’ il suo umido ano. Ad un certo punto Olivina disse:

    “… dai riproviamo !... dobbiamo un po’ sbrigarci però… su mettiti di fianco dietro di me… così mi trafiggi di schiena … su Toraldo…”

    Olivina mi diede le spalle, mi presentò di nuovo il culo, ed io arrapato mi preparai a penetrarla di nuovo sovrapponendo il mio torace contro la sua schiena. Ne approfittai per leccarla di nuovo sulla sua nuca, dietro e dentro il suo orecchio a tiro della mia lingua famelica. Quando sentii cappella e asta ben addentro presi a muovermi frenetico. Già sapevo che in quella posizione le davo molto meno sofferenza. Ormai i nostri due corpi quasi giustapposti e sincronici fremevano. Tiravo, battevo, e facevo presa sui suoi bollenti seni caldi cercando con i polpastrelli i suoi capezzoli nuovamente induriti. Olivina si voltò come poteva per leccarmi affettuosamente pochi secondi… all’improvviso una massa liquida mi diede una sensazione simile ad un’onda; per un inafferrabile istante sentii un caldissimo piacere passare, e subito lasciare la punta del mio glande. Subito dopo mi sentii partire un impulso dalla base delle palle fino al cazzo tutto, ed il mio liquido seme si riversò nel tiepido ed ospitale retto di mia sorella Olivina. Non ricordo quanti, ma una decina di piacevolissimi impulsi trasferirono a perdere la linfa di tanti possibili Toraldo ben addentro quel bocciolo di donnina indemoniata nel cercar piacere. Le avevo già dato abbastanza sofferenza, per cui uscii dal suo stanco culetto, e le riempii la guancia di baci. Li accettò sorridendo esausta; quindi mi disse:

    “Toraldo, … ho sofferto molto per darti ciò…”

    La baciai di nuovo.

    “Toraldo, lo vuoi un bel ricordo di oggi ?”
    “Sì, magari…”
    “Allora io mi rimetto carponi, allarghi piano il mio povero ano, e poi mi lecchi dentro… ti va ? Direi che un po’ di tenerezza lì la merito … me lo ricordo come me lo leccasti la prima volta anni addietro, quel pomeriggio… te ne ricordi anche tu ?”
    “Sì me ne ricordo …”
    “Fino a quando resisiti, non preoccuparti per la cacca,… ho preso la purga ieri per farti trovare l’intestino sgombro…”
    “E allora ?”
    “Dove hai messo il tuo cazzo Toraldo, metti la tua lingua e leccami come sai fare con la fica,… fino a quando resisti…”
    “Ma…”
    “Dai su …”

    Si rimise alla pecorina offrendo alla mia vista il suo curvoso culo e si scostò piano le natiche. Io, dopo essermi avvicinato con qualche esitazione col naso, presi coraggio e vi introdussi la lingua in quel buchino roseo ormai con slabbrature. Sentii un dolce e tiepido sapore, ma catturai anche il mio stesso sperma. Usai la lingua a cerchio e ad ariete dando dei brevi e duri colpi in profondità cui si aggiungevano carezze circolari della mia lingua. L’ano di Olivina reagiva pronto ai miei stimoli linguali talvolta decisi, talaltra esitanti considerando qual era il buco che stavo leccando. Anche Olivina gemeva di piacere facendomi tornare arrapamento; quel buchino rosa scuro era ancora vitale, nonostante la stanchezza di mia sorella. Un colpetto e sembrava riaprirsi, per poi immediatamente richiudersi. La mia lingua vi depositava altresì della saliva per rendere più umido e più piacevole ogni successivo bacio della lingua. Poche erano quelle femmine che potevano ricevere proprio lì certi umidi baci di carne e saliva. Non vi era tempo per un’altra entrata del pisello: pazienza; voleva dire che si sarebbero sfruttate altre occasioni. Non ricordavo di saper tanta dolcezza usare all’ano di Olivina; movente doveva essere il mio amore per lei.
    Olivina mi disse:

    “Metti due dita !... piano !...ahnnnn!... muovile !... e poi, ahnnnnn che lingua diabolica!...ahunnnnn, quando te lo dico toglile e togliti a tua volta…”

    Misi le due dita e le mossi dentro come mi diceva l’istinto per diversi istanti. Mia sorella Olivina sembrava goderne.

    “Sì, uhnnnn, sì, uhnnnn, sìiiiiiiii, uhnnnnn!...”
    “…ancora?...”
    “Sì! Dai ancora !”

    Continuavo, sudato e servizievole ormai emotivamente scarico del tutto. Olivina mi disse all’improvviso:

    “Via togliti ! Ti ridò tutto…guarda….”

    Guardai,… e dal buco del culo di Olivina partì una scarica liquida lievemente giallastra e bianca anche per il mio seme, che le avevo dato in buona copia. In tutto tre schizzi, di cui il primo il maggiore. Olivina mi diceva cosa fare:

    “Toraldo ! Prendete il pitale.”

    Eseguii velocemente e lei si piazzò sopra il pitale; si massaggiò la fica, dapprima schizzò due volte, poi pisciò abbondante ed alla fine mi disse:

    “Toraldo donatemi quell’acqua del vostro catino. Ora devo lavarmi io, poi voi, dopo che me ne sarò andata, ve ne farete portare dell’altra.”

    Era ritornata al voi. Il sesso era decisamente finito. Olivina rimase a gambe divaricate a V sopra il pitale. Poggiai il catino sul comodino accanto a letto ed Olivina con il suo magnifico culo ancora sodo mi disse:

    “Lavatemi se ci tenete Toraldo, che devo andarmene, l’ora quinta è ormai vicina da come sento il sole che non entra più dalla finestra…lavatemi onde toccarmi ancora.”

    Lavai Olivina, o meglio la fica di mia sorella, nonché il suo culetto con le mani usando l’acqua pulita del catino. Ne approfittai per baciarle seno e collo. Olivina mi lasciava fare durante il lavacro. A mano a mano che pulivo il suo corpo lasciavo cadere l’acqua residua nel pitale. Olivina mi faceva tenerezza. La asciugai usando il lenzuolo pulito sul quale avevo io stesso dormito. Non appena fu asciutta raccolse i suoi mutandoni, la gonna e si rivestì alla svelta. Andò alla finestra e vide che aveva ragione; il suocero l’aspettava con un carretto trainato da un piccolo somarello. Probabilmente avevano dovuto vendere il cavallo. Conoscendo la situazione in generale preferii non chiedere.

    “Non sporgetevi troppo o vi riconoscerà… non siete travestito ora fratello Toraldo…”
    “…”
    “Fratello Toraldo! Vi dico Addio. E che il Signore ci perdoni per il piacere che mi avete fatto provare…”

    La luce era ormai rossastra. L’ora d’inizio del tramonto. Sei passi erano lo spazio da dove avevamo giaciuto io ed Olivina, liberi e nudi, fino all’uscio della mia camera che avrei lasciato qualche ora dopo di lei per tornarmene al mio paese, dal mio Barone, per il lavoro di sempre…


    Sapete, tempo dopo mi sposai con Francesca, la nipote di Don Grico, senza troppo desiderarla in verità. Tentammo e ritentammo, ma non avemmo figli. Col tempo finii per non dolermene. Forse era la punizione dei miei non pochi peccati. Con Olivina ebbi altri incontri sempre fugaci, ma nessuno poteva eguagliare quello della locanda… neppure tre anni dopo, quando fu lei a raggiungermi in un’altra locanda vicino Otranto travestita da suora; e gli ultimi due nostri incontri furono parecchio affievoliti; come un rito trito e ritrito, finimmo col perdere interesse a trasgredire, o forse era solo la nostra età che avanzava. I nostri genitori mancarono quando ebbi 44 anni. Mia sorella Olivina morì a 63 anni nel 1580. Ignoro se mia sorella Olivina del sesso ebbe mai qualcosa ad insegnare o a lasciar praticare seco ad Aymone figlio suo e nipote mio. Certo sono che crebbe normale, nonostante i palesi vizi di mio cognato, e usava tentar approcci verso l’altro sesso non appena ne ebbe l’età; qui da noi non prese moglie. Aymone, si trasferì nel Nuovo Mondo nel 1582 dopo aver badato a suo padre vedovo, e già svogliato notaio, che morì l’anno dopo. Non vedendo sbocchi per il suo avvenire a Martano decise di andare con gli spagnoli imbarcato come mozzo su di un nao...Par di ricordare che sbarcò felice e ottimista in terra di Brasile quando mi inviò una sua missiva, (la prima delle sole due che inviò), era il 1584… e nulla ne seppi più dopo il 1585. Passai la vecchiaia rimanente a pregare spesso; soprattutto da quando morì novantenne, cieco e malfermo, ma mentalmente integro e sveglio, il mio aio Don Grico de’ Greci. Gli confessai col tempo molti, ma molti dei miei non pochi peccati, e qualcosa dovette intuire di me ed Olivina; ma rinunciò sempre a chiedere… Io venni a mancare lasciando vedova la mia Francesca che mi vide morire sereno nel nostro letto nel 1587 a 72 anni. Francesca leale, e devota moglie di cotanto peccatore non poteva saperlo, ma non era a lei, invecchiata assieme a me, che stavo dedicando i miei ultimi pensieri coscienti… cialtrone fino all’ultimo! Avevo sempre ripensato a quella volta in cui Olivina prese congedo da me nella stanza della locanda, luogo del nostro primo pieno peccato. Non potei allora, né adesso some spirito in attesa, dimenticare quel seno che scompariva mentre si riabbottonava la camicia; non restavano che sei passi, che Olivina percorse pian piano silenziosamente in punta di piedi. Avrei voluto chiederle mille altre cose in quel momento, ma scarico e soddisfatto com’ero non mi veniva in mente quasi niente.
    “Quando potrò rivedervi Olivina ?”
    Si voltò verso di me alzando le spalle con sorriso ch’era appena giunta sull’uscio, aprì la porta, si guardò intorno con fare circospetto, quindi sollevò un po’ la gonna per discendere le scale che potei veder le sue gambe, e un istante dopo, il tempo di battere le ciglia, se ne era andata.
     
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